Quasi 700 persone sono decedute dall’inizio dell’anno ad oggi per cause collegate al lavoro. Il 7 giugno scorso è stato il giorno più nero: 11 vittime in poche ore. E nessuno fa niente
Tra i primi oggetti confluiti a metà luglio nel nascente Museo del cambiamento ad Acquapendente (Viterbo), presentato dal vicepresidente del Pd Ivan Scalfarotto durante la festa Changes, c’è anche una copia del mio libro, “Voglia di cambiare” (Chiarelettere). Il primo capitolo di questo diario di viaggio nell’Europa efficiente che non ha avuto paura di cambiare c’è la ricostruzione di come, con una svolta più culturale che legislativa, in Svezia hanno quasi azzerato i morti sul lavoro. In Italia, invece, è una emergenza nazionale che si trascina nella indifferenza generale.
Tra i più recenti dati che, alla vigilia di Changes (che si prefiggeva di tralasciare per una volta l’urgenza del dettaglio e discutere del quadro nel suo insieme) ho raccolto presso l’Anmil, l’associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, ce ne sono alcuni che lasciano sconcertati: per esempio, il 7 giugno scorso, un martedì, è stato il giorno più nero per le morti bianche. Ben undici persone sono morte nel giro di poche ore a causa di incidenti sul luogo del lavoro o in itinere, nel tratto di strada tra casa e lavoro.
Sei lutti hanno riguardato il settore dell’agricoltura. Quattro lavoratori dei campi sono morti per incidenti causati da cadute dal trattore: Giovanni Cenicola di Guardia Sanframondi (Benevento), il boscaiolo 34enne Angelo Massimo Grieco ad Auletta (Salerno), e altri due vittime sono state registrate a Calabritto (Avellino) e a Enna. Due le vittime di incendi avvenuti in campagna: Giovanni Denaro, di Comiso (Ragusa) e il foggiano Cataldo Volpe sono morti bruciati mentre davano alle fiamme delle stoppie.
A morire nell’indifferenza sono i nostri padri e i nostri nonni. Nelle stesse ore la banca dati dell’Anmil registra la morte di due operai (Martin Geiser, 46 anni, e Thomas Steger, 33) svenuti per mancanza di ossigeno e annegati in una fossa biologica a Vipiteno (Bolzano) e di un lavoratore rumeno che a San Benedetto dei Marsi (L’Aquila) ha urtato i fili dell’alta tensione con un’autogru, finendo folgorato.
A San Vittore del Lazio un camionista, Antonio Cestra, 44 anni, è spirato sull’autostrada A1, investito da un’automobile dopo essere sceso dal suo mezzo per controllare uno pneumatico.
E a Como non ce l’ha fatta a vivere un imprenditore 58enne, Sergio Gerosa, vittima di un incidente a Caslino d’Erba: l’uomo era stato colpito poche ore prima da una cinghia durante la fase di trasporto di una pressa ed era caduto a terra sbattendo violentemente la testa. Martedì 7 la moglie e i due figli di Gerosa hanno autorizzato l’espianto di organi.
Nel giorno più nero per le morti bianche sono arrivate anche le condanne di giudici per un incidente sul lavoro avvenuto il 6 novembre 2008 all’Hotel delle Nazioni di Bari nel quale morì Nicola Cassotta, 35 anni, e rimase ferito Massimo Regano, di 25. Il giudice per l’udienza preliminare di Bari Marco Guida ha condannato a un anno e otto mesi, con pena sospesa, l’imprenditore Vito Fusillo, amministratore della società edile Fimco, e a due anni e otto mesi Saverio Basile, titolare dell’azienda Bm Lift. I due operai si trovavano su un ascensore, che precipitò per circa 20 metri.
Cercherete invano traccia di questi incidenti mortali in un quadro d’insieme sui quotidiani di quel giorno. Troverete invece, il giorno dopo, un segnale in materia, duro ma passato inosservato. Lo ha lanciato Beniamino Deidda, procuratore generale presso la Corte d’appello di Firenze, nel corso dell’assemblea regionale toscana dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di Cgil, Cisl e Uil. Ecco le parole di Deidda: “Vi chiedo se in un Paese civile si possa tollerare che ogni anno circa tremila persone muoiano per cause di lavoro: altro che guerra in Afghanistan…”. Deidda ha così spiegato il panorama di infortuni mortali e malattie professionali: “In Italia il registro mesoteliomi annota circa mille casi all’anno, ed è una malattia dovuta all’esposizione all’amianto sicuramente mortale: mediamente ogni anno moriranno circa mille lavoratori. Se pensiamo che ci sono altre malattie mortali, tumori professionali, sicuramente arriviamo a una cifra molto prudente di almeno 1500 morti all’anno, che sommati agli altrettanti che muoiono per infortunio fa tremila morti”.
“Si tratta di garantire”, ha aggiunto Deidda, “non solo la sicurezza e l’incolumità, ma anche la salute: quindi l’intervento degli organi di prevenzione riguarda il pacchetto complessivo della salute dei lavoratori, l’organizzazione del lavoro. C’é una grande opera di prevenzione da fare, per la quale bisogna incidere nell’attuale ordinamento sui datori di lavoro a cui va fatta scuola, ma c’é un problema di cultura della sicurezza che non tocca solo i datori di lavoro, ma tocca anche i lavoratori e la magistratura”. Sfoglio i quotidiani di quelle ore e trovo, insieme alle preoccupazioni sui mercati, le fumisterie politichesi su legge elettorale e nuovo governo (istituzionale, di garanzia, di responsabilità, del presidente, tecnico, elettorale, balneare). Provo a suggerire un nome: un governo di salute pubblica, che metta in agenda tra le prime emergenze da cancellare questa strage silenziosa che avviene nell’indifferenza generale.
Post scriptum: scrivo questo post il 13 luglio. I morti sul lavoro dall’inizio del 2011 a oggi, 13 luglio, secondo l’Osservatorio indipendente di Bologna sulle morti per infortuni sul lavoro, sono stati 336, ma si arriva a contarne oltre 650 se si aggiungono i lavoratori deceduti sulle strade e in itinere. Erano 287 sui luoghi di lavoro il 14 luglio del 2010: l’aumento è del 14,6 per cento.
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