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    mercoledì 6 giugno 2012

    La Spezia, porto, rifiuti.


    di Gianni Lannes

    Bentornati nell’Alto Tirreno, santuario dei cetacei almeno sulla cartografia ufficiale. Invece del pesce ormai si pescano rifiuti pericolosi in questa “area protetta” a parole, come aveva già accertato Greenpeace con ben due rapporti scientifici (consegnati inutilmente al Governo tricolore). Così va in scena il solito copione, senza neanche il fastidio delle proteste popolari. Infatti, qualche giorno fa, 25 miglia a sud ovest dell’isola di Montecristo un peschereccio battente bandiera maltese ha tirato su dal mare sei fusti in plastica (di circa 50 litri cadauno) imbottiti e variamente assortiti di miscugli industriali. I bidoni sbarcati a Porto Santo Stefano, sono stati posti sotto sequestro dal locale Ufficio circondariale marittimo che sta curando le indagini del caso e che ha comunque accertato che i fusti non appartengono al carico (circa 40 tonnellate di cobalto, molibdeno ed altro) di quelli tossici persi in mare, al largo della Gorgona, dall’eurocargoVenezia ben 5 mesi fa, ma non ancora recuperati nonostante le vane promesse del ministro per l’Ambiente e la tutela del mare, Corrado Clini. Al momento sono in corso le analisi dell’Arpat sui campioni prelevati da tutti e sei i fusti. Dai primi rilievi effettuati anche dai Vigili del Fuoco, è emerso che la sostanza contenuta sia una soluzione a base di acido cloridrico. Si tratta dell'ennesimo ritrovamento in un’area marina “protetta” che come, tra l’altro, evidenziato da numerose interrogazioni parlamentari risulta concretamente minata da scorie letali. 

    Resoconto ufficiale - Alba del 17 dicembre 2011: vento forza 9/10 e onde di 10 metri. “Eurocargo Venezia” della Grimaldi Lines partita dal porto di Catania e diretta a Genova con a bordo catalizzatori esausti utilizzati per la desolforazione del petrolio provenienti dal polo petrolchimico di Priolo Gargallo di Siracusa e appartenenti ad una ditta lussemburghese; perdita di due semirimorchi trasportati in coperta, contenenti (30)-(35)-38-(45) tonnellate di catalizzatore Co.Mo (cobalto-molibdeno), poi dichiarati di Cobalto-Nichel in 198 fusti metallici chiusi di 200 l ciascuno contenenti sacchi neri di plastica chiusi con nodi a mano; punto di sversamento non definito con esattezza approssimativamente in un'area di circa 45 miglia quadrate a sud dell'isola di Gorgona, a una ventina di miglia dalla costa labronica, profondità variabile tra i 120 e 600 metri. Dall’esame a posteriori del sistema Automatic Identification System i fusti sarebbero probabilmente in un punto ormai identificato al largo del banco di Santa Lucia, su un fondale che degrada - secondo le batimetriche delle carte ufficiali - da 400 a 500 metri.  Il carico sarebbe volato in mare per una spaventosa sbandata di 34° della nave. La sua posizione è registrata fuori dal banco di Santa Lucia, oltre la Gorgona, una zona ben nota a tutti i pescatori del Tirreno. Mentre la nave «cappeggia» a velocità minima, le arriva quasi su rotta diretta di collisione una seconda nave, identificata nel ro/ro «Cragside» di 193 metri (da Genova verso sud). Per il comandante Pietro Colotto, a travolgere la Cargo Venezia è però un’onda di dieci metri in grado di determinare una rollata di 37 gradi. Un’onda il cui impatto è stato fissato alle 5.20 del 17 dicembre. Un’onda che ha attraversato la nave e l’ha scossa, inghiottendo due carichi di rifiuti tossici. Secondo alcune, insistenti, voci, l’impatto era arrivato almeno due ore prima, e già nella notte si discuteva di due semirimorchi in mare. Inutile pensare che del contenuto nessuno sapesse: il trasporto di merci pericolose è caratterizzato da una procedura particolare che comporta la descrizione di carico e di rotta, nonché un preciso monitoraggio durante il viaggio. Ma la scoperta dei 198 barili mancanti non è immediata, e arriva soltanto quando la Cargo Venezia giunge a destinazione nel porto di Genova.   Il 3 gennaio, il comandante della Cargo Venezia, Pietro Colotto, è stato iscritto dal sostituto procuratoreMasini nel registro degli indagati per violazione delle norme che regolano il carico e il trasporto di rifiuti speciali.

    Mar Ionio, nave.

    Versione governativa - Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha presentato una relazione della Direzione generale per la protezione della natura e del mare.  Ecco come si sarebbero svolti gli eventi: «Alle ore 07.20 del 17 dicembre 2011 la moto nave Eurocargo Venezia in rotta da Catania a Genova informava via radio la Capitaneria di Porto di Livorno che, in un intervallo di tempo ricompreso approssimativamente tra le ore 04.00 e le 07.20 del mattino, in zona di mare ricadente nella giurisdizione di quella Capitaneria, colpita da una violentissima mareggiata ha perduto parte del carico trasportato sul ponte di coperta. La rotta, con le esatte posizioni e gli orari della nave, è stata registrata dal sistema satellitare A.I.S. presso la sala operativa delle Capitanerie di Porto in Roma, ed il tracciato è già a disposizione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. La zona di mare interessata. circa 15 miglia al largo dell'Isola della Gorgona, ricade nel Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano ed è interna al Santuario Internazionale dei Cetacei (Pelagos)».Il documento chiarisce anche cosa è successo dopo: «La Guardia costiera di Livorno. una volta ottenuta conferma sulle caratteristiche di nocività del carico, lo stesso giorno 17 dicembre trasmetteva notizia agli Enti superiori (Ministero dell'ambiente, Comando generale delle Capitanerie), agli Uffici territoriali del Governo e ai Comuni di Pisa e Livorno. Nei giorni successivi fu inoltrata notizia di reato a carico del Comandante della nave alla competente Procura della Repubblica, e furono informate le associazioni, le cooperative di pesca ed i circoli nautici circa le precauzioni da adottare in caso di rinvenimento dei fusti galleggianti o spiaggiati. Dell'accaduto fu trasmessa anche formale comunicazione alle Autorità marittime francesi, in ottemperanza all’accordo Ramoge sulla protezione internazionale dell'alto Tirreno». Ma cosa c’era davvero a bordo della Venezia? Spuntano anche «Il carico caduto in mare è costituito da due semirimorchi di fusti contenenti - secondo i documenti di trasporto - catalizzatore a base di ossidi di nichel, vanadio e molibdeno esausto (in una prima dichiarazione la Società armatrice aveva dichiarato ossidi di cobalto"). Secondo le prime ricostruzioni, ciascun fusto contiene circa 170/180 Kg di materiale racchiuso in sacchi di plastica. Dei 224 fusti imbarcati a Catania, 26 sono giunti a Genova, e pertanto la quantità di prodotto caduta in mare, pari a 198 contenitori, può stimarsi in un totale di circa 33 - 34 tonnellate». Il ministero conferma la tossicità dei fusti: «Le caratteristiche della sostanza sono parzialmente confermate dal referto che la Capitaneria ha richiesto al Chimico del porto di Livorno, il quale appunto, individua il nichel, invece del cobalto, tra gli elementi presenti nei catalizzatori. Una pronuncia dell’Ispra circa gli effetti del prodotto sull'ecosistema marino e sulla salute dell'uomo - basata sulla sola scheda di sicurezza del prodotto, e che quindi postula un approfondimento degli effetti eco-tossicologici sugli organismi acquatici - afferma che “Il prodotto può determinare effetti negativi agli organismi marini ed entrare nella catena trofica solamente attraverso gli organismi detritivorl”. La scheda dì sicurezza redatta dal produttore ISABs.r.l. (Priolo Gargallo, Siracusa il 03/07/2009, ) dichiara il prodotto nocivo per gli organismi acquatici e in grado di provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente marino. (R 51/53)».Poi si passa alla descrizione degli interventi amministrativi e tecnici: «Il 21 dicembre la Capitaneria di porto di Livorno ha diffidato il Comandante della Moto/nave “Eurocargo Venezia” e il rappresentante legale della Soc. Armatrice “Atlantica di Navigazione S.p.A.” di Palermo perché provvedessero ad adottare urgentemente ogni misura atta ad eliminare gli effetti dannosi già prodotti o potenziali e a prevenire il pericolo di ulteriore danno all'ambiente». Dopo aver fatto un rendiconto del tavolo tecnico del 10 gennaio «Per effettuare un esame congiunto della situazione ai fini dea minimizzazione del danno, nonché per valutare eventuali ricadute sulla salute pubblica» e della costituzione di due gruppi tecnici, «Uno in materia di rifiuti ed uno sulle valutazione del rischio sanitario-tossicologico e ambientale... ecotossicologico», ma anche della riunione del 16 gennaio a Livorno, il ministero descrive il progetto per l'individuazione ed il recupero del carico: «In data 30 gennaio 2012, su invito della Capitaneria di Porto di Livorno, presso i locali della Prefettura di Livorno si sono riuniti i rappresentanti" di Ministero dell'Ambiente: Regione Toscana Ispra, Arpat e Capitaneria di Porto di Livorno per valutare la proposta tecnica di Atlantica S.p.A. per l’individuazione, mappatura ed eventuale recupero dei relitti del carico perso in mare dalla nave Eurocargo Venezia (trailers e fusti). Nel corso della riunione sono stati approfonditi tutti gli aspetti tecnici della proposta ed in particolare è stato richiesto alla società armatrice: una integrazione della documentazione per la parte riguardante il recupero dei materiali e le modalità di smaltimento dello stesso; l’imbarco del personale tecnico (Ispra, Arpat, Iss, Ram etc.) nonché, militari della Capitaneria di Porto sulla nave individuata per la ricerca “Minerva Uno”». Le nuove ricerche in mare sono iniziate il 6 febbraio 2012, quando «la Capitaneria di porto di Livorno ha comunicato l’avvio della campagna di monitoraggio e ricerca dei fusti e dei semi-rimorchi finiti in mare da parte della nave oceanografica “MINERVA UNO”, per conto darla Società “Atlantica di NavigazioneS.p.a.” armatrice della Moto/Nave “Eurocargo Venezia”» Il 17 febbraio «Sono stati individuati sui fondali, a quota circa 430 metri di profondità, dei fusti dispersi. Il giorno successivo, l'ispezione effettuata tramite il Rov ha confermato la presenza dei due semi-rimorchi e di circa 50 fusti contenenti il catalizzatore in questione. Una nuova ispezione effettuata con il Rov, nei giorni successivi ha quantificato la presenza nell’area di circa 100 fusti», quindi mancherebbero all’appello più di 90 fusti. Il 20 febbraio si è tenuta al ministero dell’Ambiente la riunione del tavolo tecnico, al quale hanno partecipato anche rappresentanti degli enti locali interessati e la regione Toscana e rappresentanti della Grimaldi e della Castalia e da personale del dipartimento di ecotossicologia dell’Università di Siena. L’Ammiraglio Ilarione Dell’Anna «Ha illustrato le varie fasi del monitoraggio effettuato ed ha tracciato, di concerto con Arpat e Ispra, le successive fasi di raccolta campioni (colonna d'acqua, sedimenti del fondale. pesci e organismi bentonici) in modo da poter monitorare sia la dispersione del materiale finito in acqua nonché l’eventuale presenza nella catena trofica».   

    Allarme rosso - Il monito pronunciato dal governatore della Toscana Enrico Rossi - «Individuare e recuperare i bidoni è una questione di carattere nazionale e non bisogna perdere altro tempo» - assume una dimensione grottesca. Soprattutto perché pronunciato il 17 gennaio; oltre 4 mesi fa. «E’ ben visibile un’area subito a nord ovest del luogo di individuazione dei fusti dove risulta disperso il contenuto dei fusti stessi - si leggeva nel documento dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana – E’ plausibile che a causa della pressione esercitata dalla colonna d'acqua i fusti si siano aperti e il contenuto si sia depositato sul fondo, disperso secondo l'andamento delle correnti prevalenti ad una profondità tra i 400 ed i 450 metri». Tradotto: alcuni bidoni si sono aperti e il contenuto si è disperso in acqua. O meglio: visto che il solfato di nichel è tossico per gli organismi acquatici - come aveva ricordato la stessa Arpat nei giorni scorsi - potrebbero esserci serie conseguenze per l’equilibrio ambientale del nostro mare. Possibile che la “plausibilità” di un inquinamento sostenuta dall’Arpat nel giro di qualche ora sia diventata un’ipotesi da verificare? L’Arpat Toscana in uno stesso giorno si contraddice un paio di volte: «il contenuto dei fusti risulta disperso, depositato sul fondo, a una profondità tra i 400 e i 450 metri». Poi, innesta una mezza marcia indietro, corregge il suo comunicato e usa il condizionale. «Il contenuto dei fusti potrebbe essere disperso». Infine, fa una vera e propria piroetta e rivoluziona la sua versione: «Solo dopo verifiche si potranno avere informazioni certe sulla dispersione dei bidoni e sulla fuoriuscita di materiali». Quei 198 fusti di veleni industriali hanno disperso in mare cobalto radioattivo, solfato di nichel, di molibdeno, di alluminio. Hanno contaminato pesci, crostacei e molluschi di una delle aree più pregiate del Mar Tirreno? La Minerva Uno, la nave da ricerca oceanografica della società Castalia, ha trovato una parte dei bidoni pieni di sostanze tossiche. I fusti sono stati individuati esattamente nell’area del presunto affondamento individuata da Capitaneria e Castalia: ad una profondità di circa 430 metri a 9 miglia nord-ovest di Gorgona (inizialmente si diceva 20 miglia) ed a circa 20 miglia dalla costa dello Scolmatore e secondo la Capitaneria di porto di Livorno il ritrovamento è sicuro al 99,9 per cento. Il tratto di mare in cui è avvenuto il ritrovamento  è stato ben delimitato dalla Capitaneria di porto il 4 febbraio scorso. Ma quella zona è la stessa che viene segnalata in un documento dell’Ispra del 21 dicembre 2011, quattro giorni dopo l’incidente. Insomma già da quella data le autorità erano in grado di stabilire con una certa esattezza la zona dove erano stati seminati i bidoni. Però le ricerche effettive sono cominciate 41 giorni dopo e non si sono ancora concluse. Il recupero dei veleni è ancora in alto mare. Ma l’ultimo piano “operativo” - stabilito il 4 aprile in una riunione tenutasi presso la Capitaneria di Porto di Livorno (alla quale erano presenti rappresentanti del ministero dell’Ambiente, della Regione Toscana, delle Province e dei Comuni di Livorno e Pisa, nonché dell’Arpat, dell’Ispra, dell’Istituto Zooprofilattico e dell’Istituto Superiore di Sanità) - prevede che la campagna di recupero «abbia inizio nei primi dieci giorni di maggio e duri circa un mese, condizioni meteo permettendo» mentre «la Grimaldi proseguirà anche con l’attività di ricerca dei fusti ancora dispersi sul tratto di mare interessato dalla rotta intrapresa dall’eurocargo Venezia, per una lunghezza di 12 miglia e per una larghezza di circa 1.300 metri, in diretta prosecuzione, verso ovest, dalla zona di rinvenimento dei relitti del carico». Sarà. Tuttavia, completamente inutili, fino ad oggi, si sono poi rivelati i due piani elaborati per risolvere la solita emergenza. Il primo, del 6 febbraio, prevedeva il recupero dei bidoni dopo 60 giorni, ma non è stato rispettato. Il secondo, presentato il 29 marzo, garantiva che entro la metà di aprile le ricerche sarebbero riprese. Il successivo appuntamento era per il 10 maggio, quando sarebbe dovuto iniziare il recupero. Intanto, nelle acque fra Gorgona e Livorno niente si muove per la bonifica. E da cinque mesi 198 barili carichi di rifiuti tossici continuano a danzare sui fondali, disperdendo il micidiale contenuto. Anzi, no. Sono solo 197. Uno l’ha recuperato, per caso, un peschereccio.
    Sito web oscurato - «Secondo me in queste acque scaricano materiali inquinanti da tempo» denuncia Antonio Brindisi, promotore del Comitato Abitanti Isola di Gorgona. «Mi rendo conto di fare accuse pesanti, ma altrimenti non mi spiego per quale motivo le ricerche non vadano avanti ma, anzi, si siano fermate». È comprensibile che nelle parole di Brindisi ci sia rabbia e delusione. Lui a Gorgona ci ha sempre vissuto. Qui, all’epoca del Granduca di Toscana Ferdinando II, i suoi antenati emigrarono da Lugliano, in Lucchesia, per coltivare le terre e abitare un’isola che dall’epoca dei pirati era rimasta deserta. Da allora sono passati quasi quattrocento anni, e la famiglia di Brindisi ha sempre mantenuto le radici a Gorgona dove durante tutto l’anno vivono nemmeno dieci persone, e poco meno di sessanta hanno la residenza. Per tenere i contatti con il mondo da questa frazione di Livorno grande soltanto due chilometri quadrati dove sono state costruite appena quindici case – tutte di proprietà del Demanio – fino a pochi giorni fa Brindisi utilizzava un sito internet (www.ilgorgon.eu.). Da sabato 21 aprile è però stato messo sotto sequestro dal Tribunale di Livorno. «Ho ricevuto la notifica soltanto cinque giorni dopo - spiega Brindisi - e non riesco ancora a capire per quale motivo il sito sia stato chiuso». L’articolo del Codice Penale cui si fa riferimento nel provvedimento è il 595 (“Diffamazione. Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”) e il sito è stato oscurato preventivamente perché «può consentire la commissione di ulteriori reati». «Su queste pagine, scrivo di tutti i problemi di Gorgona. Dal rigassificatore, che qui vogliono costruire, al carcere che, nonostante le annuali minacce di chiusura, da centocinquant’anni occupa metà dell’isola. Più volte ho raccontato della Cargo Venezia e dei suoi 198 barili dispersi - continua Brindisi - anche perché, nonostante l’Arpat continui a dire che non ci sono danni, noi abitanti siamo molto preoccupati. Un paio di mesi fa ricordo ancora di aver visto una gigantesca chiazza marrone con una grande circonferenza a meno di cinque miglia dalle nostre coste. Ci hanno rassicurato, ma sappiamo che la situazione può diventare molto grave e noi gorgonesi abbiamo già deciso che, se saranno appurati dei danni all’ambiente, ci costituiremo parte civile».

    Mafie di Stato - Le scoperte sono affidate alla casualità: prima i mercantili affondati al largo delle coste toscane (anni ’80 e ’90), poi i container scaricati all’Elba (luglio 2009) e non recuperati perché il ministero di Grazia e Giustizia ha risposto al magistrato della Procura della Repubblica di Livorno che non ci sono fondi da stanziare, quindi 40 tonnellate di scorie inabissate dall’eurocargo Venezia della compagnia Grimaldi (2011), infine, si fa per dire, questi bidoni a zonzo per il Tirreno. E chissà cos’altro ancora ci riserva il futuro, notoriamente ricco di incognite. Sarà magari una cospirazione, obietteranno i soliti anonimi benpensanti. L’estate è prossima: sarà forse colpa dei soliti visionari ottenebrati dall’afa e da un tremendo colpo di sole? O si tratterà di un complotto illuminato? Strana casualità che mescola interessi di multinazionali, Stati e mafie, grazie alle intermediazioni dei servizi segreti nostrani e non. Smaltire legalmente alla luce del sole costa e parecchio. Allora, una soluzione a portata di nave c’è sempre - prove alla mano - almeno dai primi anni Settanta. Tanto chi se ne accorge se i flutti marini inghiottono schifezze un giorno sì e l’altro pure. Vicende sporche. Anzi, inquinatissime. Di una gravità inaudita, peggio di qualunque altro scandalo che si sia mai visto: per decenni, le industrie europee che volevano smaltire a basso costo rifiuti tossici si rivolgevano al Governo italiano, che chiamava i servizi segreti, i quali interpellavano i vari boss, i quali compravano navi da affondare con dentro i rifiuti; questi ultimi, dopo i primi tentativi fruttuosi ma troppo distanti nel Mar Rosso, nel Mar Nero e largo della Libia nel Golfo della Sirte con tanto di decreto ministeriale pro-Eni dell’ecologico Giorgio Ruffolo (e proteste di Gheddafi; rammentate il missile su Lampedusa?), trovavano più conveniente occultare i loro eczemi industriali nei nostri mari.  Centinaia di navi colate a picco e migliaia di container inabissati in tutto il Mediterraneo in 30 anni, con una preferenza per il Tirreno, ma soprattutto lo Jonio, senza disdegnare l’Adriatico. Ma anche camionate ed interi convogli ferroviari di porcherie interrate in vari siti in Lazio, Campania, Calabria, Basilicata e Puglia. Con conseguente aumento delle casistiche tumorali nelle popolazioni dell’Italia del Sud. La giornalista Ilaria Alpi (20 marzo 1994) e l’ufficiale della Guardia Costiera Natale De Grazia (12 dicembre 1995), collaboratore di punta del magistrato Francesco Neri, avevano scoperto il coinvolgimento dello Stato italiano e sono stati assassinati. Forse uno dei motivi per cui lo Stato chiamato Italia non ha mai combattuto seriamente le mafie (istituzioni organiche ma non riconosciute ufficialmente a livello istituzionale) è ha ordinato l’eliminazione di due magistrati dell’inarrivabile livello di Falcone e Borsellino con relative scorte di Polizia proprio per questo: i boss e le loro manovalanze tornano comodi quando c'è del “lavoro sporco” da eseguire in silenzio. Un generale dei carabinieri, alto dirigente dei Servizi segreti, ha dichiarato in un’audizione, naturalmente segretata, il prezzo pagato dallo Stato tricolore per queste illecite operazioni.
    La mafia è un’organizzazione creata ad hoc per svolgere determinate funzioni, e riceve precise protezioni, senza le quali non potrebbe esistere. Volerla trasformare in un “tipo antropologico” o in un fenomeno nato dal basso significa occultare come agisce l’oligarchia dominante, e i metodi che essa utilizza per continuare a dominare. Oggi le autorità statunitensi ed europee hanno un potere di controllo sul pianeta mai avuto prima, eppure esse sostengono di non poter debellare né la mafia né il terrorismo né la pirateria contemporanea. I governi occidentali, che dovrebbero combattere ogni fenomeno criminogeno, appaiono stranamente inadeguati, con mezzi insufficienti, e talvolta persino latitanti. Se gli Stati intendono combattere realmente le mafie, come mai non le sconfiggono? Se infatti oggi esiste una sola e potentissima egemonia militare - quella angloamericana - che controlla anche la produzione di droga e di armi, com’è possibile che essa non abbia nulla a che vedere con le reti mafiose internazionali? Il ritornello imperante è sempre lo stesso: distruzioni e distrazioni di massa.

    P.S. Per il libro-inchiesta sulle navi dei veleni, gran parte dei maggiori editori italiani pur apprezzando l’opera ben documentata, si è però rifiutata di pubblicarla.
    Container radioattivo.

    Italia, scorie nucleari abbandonate.

    Italia, mare dei veleni - Italia, moria di pesci.
    FONTE
    Mar Adriatico.



     
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