Il Consiglio ministri approva riforma lavoro dopo ben 5 ore di discussioni accese.C'è dunque l'accordo sul 'salvo intese' che a detta del governo rende le tutele più eque.Sarà vero?Scopriamolo facendo luce sui punti principali della riforma.
Niente Decreto:approvata la riforma del lavoro.Questa è senz'altro la prima notizia importante da sottolineare cari lettori di Free Italy.Nella macelleria sociale montiana non c'è tempo da perdere:al macello tutti e da subito.E allora via libera a tutte le novità principali:
- rito abbreviato per i licenziamenti
- quote rosa per le società pubbliche
- congedo di paternità obbligatorio
Partiamo da Tgcom 24 che evidenzia i punti principali della riforma:
1. La prima area riguarda gli istituti contrattuali esistenti. Con la riforma se ne preservano gli usi virtuosi, limitano quelli impropri. Il nuovo impianto del mercato delle professioni attribuisce massimo valore all’apprendistato – inteso nelle sue varie formulazioni e platee – che diviene il “trampolino di lancio” verso la maturazione professionale dei lavoratori. È un punto sul quale tutte le parti coinvolte nella concertazione si sono trovate d’accordo.ARTICOLO 18:ECCO COME CAMBIA
È per questo motivo che la riforma insiste fortemente sul valore formativo dell’apprendistato. Si introduce, a tal fine, un meccanismo che collega l’assunzione di nuovi apprendisti al fatto di averne stabilizzati una certa percentuale nell’ultimo triennio (50%); si prevede la durata minima di sei mesi del periodo di apprendistato (ferma restando la possibilità di durate inferiori per attività stagionali); infine, si innalza il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall’attuale 1/1 a 3/2.
2. La seconda area di intervento riguarda le tutele del lavoratore nel caso di licenziamento illegittimo. Con la riforma si riduce l’incertezza che circonda gli esiti dei procedimenti eventualmente avviati a fronte del licenziamento. A tal fine, si introduce una precisa delimitazione dell’entità dell’indennità risarcitoria eventualmente dovuta e si eliminano alcuni costi indiretti dell’eventuale condanna (ad esempio le sanzioni amministrative dovute a fronte del ritardato pagamento dei contributi sociali). Grazie a questi provvedimenti il costo sostenuto dal datore di lavoro in caso di vittoria del lavoratore è “svincolato” dalla durata del procedimento e dalle inefficienze del sistema giudiziario.
Si prevede inoltre che il diritto alla reintegrazione nel posto del lavoro debba essere disposto dal giudice nel caso di licenziamenti discriminatori o in alcuni casi di infondatezza del licenziamento disciplinare. Negli altri casi, tra cui il licenziamento per motivi economici, il datore di lavoro può essere condannato solo al pagamento di un’indennità. Particolare attenzione è riservata all’intento di evitare abusi. È prevista, infine, l’introduzione di un rito procedurale abbreviato per le controversie in materia di licenziamenti, che ridurrà ulteriormente i costi indiretti del licenziamento.
3. La terza area riguarda il Fondo di solidarietà per la tutela dei lavoratori nei settori non coperti da Cassa Integrazione Straordinaria. La riforma prevede la salvaguardia e l’estensione della Cassa integrazione guadagni: un importante istituto assicurativo che ha permesso alle imprese italiane di affrontare la crisi meglio che in altri Paesi. L’istituto, infatti, offre un’integrazione salariale in caso di riduzione dell’orario di lavoro durante una congiuntura sfavorevole, consentendo di adeguare rapidamente l’orario di lavoro al calo di domanda, preservando però i singoli rapporti di lavoro e il loro contenuto di professionalità e di investimento. Allo stesso tempo, si potenzia l’istituto dell’assicurazione contro la disoccupazione estendendone l’accesso ai più giovani, a coloro che sono da poco entrati nel mercato del lavoro e alle tipologie d’impiego attualmente escluse (ad esempio quella degli apprendisti).
4. La quarta area è quella della tutela dei lavoratori anziani. La riforma crea una cornice giuridica per gli esodi con costi a carico dei datori di lavoro. A tal fine è prevista la facoltà per le aziende di stipulare accordi con i sindacati maggiormente rappresentativi, finalizzati a incentivare l’esodo dei lavoratori anziani.
5. La quinta area è quella dell’equità di genere. Oggi, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro risulta ancora limitata rispetto a quella degli uomini. Il divario risulta particolarmente ampio nel Mezzogiorno e tra le fasce meno qualificate è presente anche tra le fasce qualificate e di vertice (ad oggi, infatti, anche le giovani laureate trovano lavoro meno frequentemente dei colleghi maschi). Per diminuire questo divario la riforma interviene su quattro ambiti. Il primo è l’introduzione (a favore di tutti i lavoratori, per quanto il fenomeno riguardi prevalentemente le lavoratrici) di norme di contrasto alla pratica delle cosiddette “dimissioni in bianco”, con modalità semplificate e senza oneri per il datore di lavoro e il lavoratore e il rafforzamento (con l’estensione sino a tre anni di età del bambino) del regime della convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri. Il secondo ambito mira a favorire una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli. Viene quindi introdotto il congedo di paternità obbligatorio. Il terzo ambito riguarda il potenziamento dell’accesso delle donne alle posizioni di vertice. Si approva il regolamento che definisce termini e modalità di attuazione della disciplina delle cd “quote rosa” alle società controllate da pubbliche amministrazioni.
6. L’ultima area di intervento riguarda le politiche attive e i servizi per l’impiego. In questa area, che prevede un forte concerto tra Stato e Regioni, ci si propone di rinnovare le politiche attive, adattandole alle mutate condizioni del contesto economico e assegnando loro il ruolo effettivo di accrescimento dell’occupabilità dei soggetti e del tasso di occupazione del sistema mediante:
- attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso o soprattutto beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione
- qualificazione professionale dei giovani che entrano nel mercato del lavoro
- formazione nel continuo dei lavoratori
- riqualificazione di coloro che sono espulsi, per un loro efficace e tempestivo ricollocamento
- collocamento di soggetti in difficile condizione rispetto alla loro occupabilità
Si creano inoltre, attraverso le politiche attive, canali di convergenza tra l’offerta di lavoro (nuova o connessa a perdita del posto di lavoro) e la domanda (valutazione dei fabbisogni delle imprese e coerenza dei percorsi formativi dei lavoratori e delle professionalità disponibili), in un’ottica di facilitazione del punto di incontro tra chi offre lavoro e chi lo domanda. Gli interventi di attivazione devono sottendere un patto di mutua responsabilità/obbligazione tra enti che offrono servizi per il lavoro, lavoratori, datori di lavoro. La presenza nel mercato del lavoro di intermediari privati professionali modifica la ragion d’essere dell’intervento pubblico nei processi di intermediazione, la cui finalità non può che diventare quella di intervenire prioritariamente nei confronti di soggetti deboli ed a rischio di emarginazione. Il perseguimento di una tale finalità diviene inoltre possibile non solo mediante un intervento diretto, ma anche tramite l’acquisizione di servizi da providers privati. La presenza d’un regime di sussidi di disoccupazione rafforza la necessità di tener conto d’una finalità particolare dell’intervento pubblico: al generico “aiuto” ai soggetti deboli ed a rischio di emarginazione si aggiunge infatti l’esigenza di contrastare abusi e disincentivi connessi con l’operare dei sussidi. Questa esigenza implica che in molti casi non ci si limiterà a “mettere a disposizione” servizi (che altrimenti la logica di mercato potrebbe non fornire o non fornire a tutti a condizioni adeguate), ma si arriverà a voler “imporre” determinati interventi concreti, in una logica tutoria e di prevenzione, rispetto a possibili abusi e derive di emarginazione (attivazione o mutual obligation).
In tale contesto, è necessario identificare i target su cui impostare le azioni:
- giovani al primo ingresso (per i quali l’azione prioritaria qualifica la formazione all’interno del contratto di apprendistato)
- lavoratori già inseriti o sospesi in via temporanea (occorre valutare ruolo e attività dei Fondi Interprofessionali per allargare la loro capacità di intervento e per rafforzare il loro ruolo nella sinergia tra politiche attive e politiche passive nonché sulla qualità della loro offerta formativa permanente)
- lavoratori espulsi o da ricollocare (è necessario evitare che i lavoratori sospesi per lungo tempo od espulsi siano progressivamente disconnessi dal mercato del lavoro e accrescano bacini di disoccupazione di lunga durata. Si devono porre, in particolare nei processi di ristrutturazione, specifici impegni - da inserire eventualmente all’interno di accordi di accesso a politiche passive - a carico delle Parti Sociali per il reimpiego di questi lavoratori, attraverso azioni di riqualificazione e di accesso a nuove opportunità di occupazione.
- soggetti con caratteristiche di difficile occupabilità e inattivi (occorre delimitare il target, prevederne il censimento e creare aree di accesso ai servizi del lavoro specifiche, rafforzando la rete di orientamento e di servizi per il loro inserimento nel mercato del lavoro e promuovendo politiche di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.
Vediamo punto per punto, licenziamento per licenziamento, cosa cambierebbe.
Licenziamento individuale per motivi discriminatori
Attualmente, se il giudice non riconosce la discriminazione, l'allontanamento dall'azienda resta legittimo. Il lavoratore licenziato, in realtà, può impugnare il licenziamento e deve dimostrare davanti a un giudice che è stato discriminatorio. Nel caso in cui il giudice reputa legittimo il ricorso, annulla il licenziamento e reintegra il lavoratore. Se dovesse essere approvato il nuovo Articolo 18 voluto dal governo non cambierebbe assolutamente nulla.
Licenziamento per motivi economici
Attualmente, il licenziamento individuale per motivi economici riconosciuti validi, è già previsto e non dà diritto né al reintegro né al risarcimento. Ma se il giudice ritiene non legittimo il motivo economico addotto dall’azienda, può decidere il reintegro del lavoratore. Sarà il dipendente, nel caso, a scegliere in alternativa l’indennizzo.
Nel caso del nuovo articolo 18, se il giudice dovesse ritenere non valido il motivo economico addotto dall’azienda, potrebbe decidere solo per l’indennizzo economico, che sarà tra le 15 e le 27 mensilità in base alle dimensioni dell’azienda, dell’anzianità del lavoratore e del comportamento delle parti. Non il reintegro. Il giudice, in sostanza non dovrà valutare il tipo di licenziamento, ma se dovesse valutare l’inesistenza dei motivi economici, scatterà automaticamente l’indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità. E' questo il punto maggiormente controverso, quello su cui si discute in maniera più accesa.
Licenziamento per motivi disciplinari
Attualmente, il giudice valuta se il motivo economico è addotto per mascherare un licenziamento disciplinare o discriminatorio. Se il giudice riconosce validi motivi disciplinari, non scatta né il reintegro né l’indennizzo. Invece, come per i licenziamenti per motivi economici, il giudice che ritiene non valido il motivo disciplinare presentato dall’azienda, può decidere il reintegro del lavoratore. Sarà il dipendente, nel caso, a scegliere in alternativa l’indennizzo.
Nel caso del nuovo articolo 18, il giudice avrà di fronte due possibilità. Se il fatto attribuito al lavoratore non è stato commesso o se non è previsto dal contratto, deciderà per il reintegro, in aggiunta al pagamento della retribuzione per tutto il periodo tra il licenziamento e il reintegro stesso. In ogni altra ipotesi, invece, ci sarà l’indennizzo, che sarà sempre il giudice a stabilire tra le 15 e le 27 mensilità.
Riferimenti normativi:
Legge 300/70 (Statuto dei Lavoratori), articoli 2118 e seguenti del Codice civile, legge 604/66, legge 108/90.
Per i licenziamenti collettivi: legge 223 del 1991, legge n.151 del 1977.
Fonte: http://www.rassegna.it/articoli/2012/03/22/85234/come-cambia-larticolo-18-scheda