• Medicina
  • Internet
  • Video
  • Visualizzazione post con etichetta Amnesty International. Mostra tutti i post
    Visualizzazione post con etichetta Amnesty International. Mostra tutti i post

    OMBRE SU AMNESTY INTERNATIONAL: TRA I SUOI EX DIRIGENTI UNO DEGLI UOMINI PIU' POTENTI DEL MONDO..

    giovedì 6 ottobre 2011

    Grazie ad un interessante articolo di freebooter tradotto da Barbara Cloro ho scoperto che Zbigniew Brzezinski, uno degli uomini più potenti del mondo, consigliere guerrafondaio del presidente Carter in un periodo in cui il partito democratico degli USA sembrava un po' restio ad intraprendere azioni di guerra, è stato uno dei dirigenti di Amnesty International! La notizia è confermata anche da wikipedia inglese (noto sito che rifugge dal denunciare le cospirazioni) e da encycl.opentopia.
    Ma guarda un po', un'associazione che dovrebbe in teoria puntare il dito contro l'imperialismo degli Stati Uniti e delle altre potenze, colpevoli di esportare guerra e tortura in tutto il mondo, che viene diretto proprio da uno dei più influenti e potenti guerrafondai del mondo. Come dare credito ancora ad Amnesty International se viene gestita dagli stessi poteri che dovrebbero contrastare? E come fare a non complimentarsi con l'astuzia dei nostri leader mondiali che quando organizzano guerre, violenze, inquinamento e devastazioni ambientali, si preoccupano di creare e/o dirigere essi stessi le associazioni che dovrebbero opporsi a tutto questo?
    Da tempo avevo poca fiducia in Amnesty International, sia perché ho frequentato una loro sede dove ho trovato lo stesso spirito che anima le associazioni di dame della carità, sia perché di fronte alle ripetute violazioni dei diritti umani perpetrate nei reparti psichiatrici di tutto il mondo, e nonostante le denunce a loro pervenute a riguardo, non hanno mai mosso un dito. I diritti umani a quanto pare Amnesty International li difende solo quando vuole lei ... o forse quando vuole qualcun altro che tira le fila di tale organizzazione.
    Del resto se Amnesty non interviene sulla sistematica violazione dei diritti umani in campo psichiatrico non è per mancanza di tempo, tanto è vero che tale associazione si occupa persino di cose che con la sua attività statutaria non c'entrano niente, come la fantomatica lotta all'AIDS ( http://www.dsi.unipd.it/documenti/Salvan240507.pdf ) che Amnesty promuove niente meno che assieme all'UNICEF (una costola di quell'ONU che ha legittimato il massacro del popolo libico ad opera del suo braccio armato, la NATO) accogliendo fondi per “curare” madri e bambini (il cui stato di malattia è per altro supposto su basi scientifiche inconsistenti) con farmaci a dir poco spaventosi.
    Questa storia dovrebbe insegnare che chi comanda ed usa la tortura crea le associazioni che denunciano la violazione dei diritti umani affinché protestino solo quando lo permette chi sta al potere.
    Alla stessa maniera abbiamo già visto che le associazioni ambientaliste sono state create affinché protestino solo quando lo permette chi sta al potere ed evitino di protestare in altre occasioni; che i torturatori di animali hanno creato/manipolato le associazioni animaliste affinché si oppongano alla vivisezione ma non all'impianto del microchip ed alle scie chimiche che stanno sterminando intere famiglie di animali; che le potenze guerrafondaie hanno creato/manipolato le associazioni pacifiste affinché distraggano i pacifisti dalla campagne più importanti o perché li portino a fare solo inutili manifestazioni di piazza che non fanno crescere la coscienza popolare.
    Se non ci credete provate a scrivere a tali associazioni e vedrete che razza di “risposte” vi danno. L'ultima che ho contattato su due domande semplici e concise ha risposto alla prima ed ha evitato di menzionare la seconda. La seconda era ovviamente sul (mancato) impegno degli animalisti e antivivisettori riguardo alle scie chimiche.


    BIBLIOGRAFIA
    LA LISTA DEI DIRIGENTI DI AMNESTY INTERNATIONAL
    http://en.wikipedia.org/wiki/Zbigniew_Brzezinski
    http://www.apbspeakers.com/speaker/zbigniew-brzezinski
    http://www.thedailybell.com/floatWindow.cfm?id=2382
    http://www.londonspeakerbureau.in/zbigniew_brzezinski.aspx
    http://www.angelfire.com/scifi2/rsolecki/zbigniew_brzezinski.html
    http://www.nndb.com/people/263/000023194/
    http://www.nocensura.com/2011/10/ombre-su-amnesty-international-ecco-chi.html
    http://www.ecplanet.com/node/2675
    http://www.cloroalclero.com/?p=7692
    http://scienzamarcia.blogspot.com/2011/09/amnesty-international-ed-il-suo-leader.html

    Cina: Mao Hengfeng rischia di nuovo la tortura!

    domenica 31 luglio 2011


    Mao Hengfeng@ Archivio Privato
    Mao Hengfeng@ Archivio Privato
    Mao Hengfengattivista cinese dei diritti umaniè detenuta in isolamento presso l'ospedale della prigione di Shanghai. Rischia tortura e maltrattamenti. Già in passato era stata trattenuta in questo stesso ospedale: era stata legata a un letto e ha subito diverse iniezioni contro la sua volontà.
     Mao Hengfeng è stata rilasciata dal centro di rieducazione attraverso il lavoro (Rtl) grazie alla libertà condizionale per cure mediche, il 22 febbraio 2011. Due giorni dopo, agenti di polizia efunzionari dell'Rtl della provincia di Anhui, dove aveva scontato 12 dei 18 mesi a cui era stata condannata, sono arrivati a casa sua e le hanno detto che stava per essere rinviata all'Rtl per aver violato i termini della libertà condizionale per malattia.
    Dopo che i poliziotti e funzionari dell'Rtl hanno portato via Mao Hengfeng, la sua famiglia ha contattato le autorità del centro della provincia di Anhui e ha scoperto che non era mai stata riportatalì. Solo a giugno i familiari sono venuta a conoscenza che Mao Hengfeng era detenuta nell'ospedale della prigione di Shanghai, ma non sono stati autorizzati a farle visita.

    Temono che Mao Hengfeng possa subire tortura o altri maltrattamenti, come è già accaduto nello stesso ospedale nel 2008, dove è stata legata a un letto, obbligata a bere e a subire diverse iniezioni contro la sua volontà.

    Mao Hengfeng dovrebbe essere liberata dall'Rtl il 24 agosto 2011.
    ----- ----- -----
    Mao Hengfeng è stata ripetutamente arrestata per aver difeso i diritti riproduttivi delle donne e le vittime di sgomberi forzati. Sta scontando una condanna a 18 mesi in un centro di "rieducazione attraverso il lavoro",  nella provincia di Anhui. È già stata torturata diverse volte. Nel luglio 2010, durante un'udienza di riesame del ricorso amministrativo contro la pena, Mao Hengfeng ha dichiarato di essere stata spesso bastonata nel centro. Ha spiegato che i responsabili avevano ordinato agli altri detenuti di aggredirla. In un'occasione è stata colpita due volte alla testa con una sedia, provocandole una cicatrice sulla palpebra destra. Un'altra volta è stata sollevata, le hanno tirato e piegato in due braccia e gambe e spinta sul pavimento, provocandole forti dolori alla zona lombare, ai fianchi e ai reni. Mao Hengfeng sta scontando 18 mesi di "rieducazione attraverso il lavoro", con l'accusa di "disturbo dell'ordine pubblico" per aver partecipato alle proteste davanti la Corte intermedia municipale di Pechino, il 25 dicembre 2009, a sostegno di Liu Xiaobo, difensore dei diritti umani, il cui processo si svolgeva quel giorno. L'8 ottobre 2010, a Liu Xiaobo è stato assegnato il premio Nobel per la pace.

    Mao Hengfeng è stata ripetutamente arrestata dal 2004 e spesso la sua famiglia non è stata autorizzata a farle visita. I familiari hanno appreso che la donna era stata torturata durante questi periodi.
    Mayor of the Shanghai Municipal People's Government
    HAN Zheng Shizhang
    Shanghaishi Renmin Zhengfu
    200 Renmindadao
    Huangpuqu
    Shanghaishi 200003
    People's Republic of China
    Fax: +86 21 63216537
    Email: webmaster@shanghai.gov.cn
     Egregio sindaco,

    Sono un simpatizzante di Amnesty International, l'Organizzazione internazionale che dal 1961 lavora per difendere i diritti umani in ogni parte del mondo in cui  vengono violati.

    Le chiedo di rilasciare Mao Hengfeng immediatamente e senza condizioni.

    La sollecito ad assicurarsi che le sia consentito l'accesso a un avvocato di sua scelta, alla sua famiglia e che sia visitata da medici indipendenti.

    Le chiedo di garantire che non subisca torture o maltrattamenti durante la custodia.

    La sollecito ad avviare un'indagine completa, indipendente e imparziale sulle accuse di torture o maltrattamenti nei suoi confronti e di garantire che i responsabili siano portati davanti alla giustizia in modo conforme agli standard internazionali.

    La ringrazio per l'attenzione.

    FONTE

    Perù: accesso ai servizi per la salute per tutte le donne


    Perù, donne in fila per entrare in un ambulatorio a Huancavelica©Amnesty International
    Perù, donne in fila per entrare in un 
    ambulatorio©Amnesty International
    Il Perù continua a essere uno dei paesi con il più alto tasso di mortalità materna di tutta l'America Latina. Secondo le stime del governo, 185 donne ogni 100.000 nascite perdono la vita per conseguenze legate al parto o alla gravidanza; dati più recenti delle Nazioni Unite, invece, parlano di 240 donne ogni 100.000 nascite. A morire sono soprattutto le donne native e povere che vivono in aree rurali. La maggior parte di queste morti potrebbe essere evitata attraverso cure mediche accessibili e di qualità.
    Uno dei problemi che le donne incinte devono affrontare è la distanza tra le abitazioni e i centri sanitari. Nelle zone rurali non ci sono strade sicure né mezzi di trasporto per raggiungere i centri in caso di emergenza. Inoltre, quando riescono ad arrivare in tempo, spesso queste strutture mancano di strumentazione necessaria, di medicinali e di personale medico in grado di assistere le donne che presentano complicazioni; inoltre, il personale parla solo lo spagnolo, non permettendo così alle donne native di capire e di essere capite.
    Una delle cause della mortalità materna in Perù è collegata agli alti livelli di povertà. Sebbene il tasso complessivo di povertà nel paese sia diminuito del 36,2 per cento negli ultimi anni, in alcuni dipartimenti è ancora molto elevato, raggiungendo addirittura l'88 per cento, ad esempio a Huancavelica, la città più povera del Perù, dove otto persone su 10 vivono in povertà estrema.

    Il 28 luglio si insedierà il nuovo presidente del Perù, Ollanta Humala al quale Amnesty International chiede un impegno urgente nella prevenzione e riduzione della mortalità materna.
    Tutte le firme raccolte entro il 10 settembre, saranno consegnate dalla Sezione Peruviana di  Amnesty International al nuovo governo.
    Egregio presidente Ollanta Humala,

    sono un simpatizzante di Amnesty International, l'Organizzazione internazionale che dal 1961 lavora per difendere i diritti umani in ogni parte del mondo in cui vengono violati.

    Visto che sta per assumere l'incarico di presidente del Perù, la esorto a proseguire con gli sforzi che il governo precedente ha fatto negli ultimi anni per ridurre il tasso della mortalità materna, al fine di garantire alle donne native e a quelle povere residenti nelle zone rurali un miglior accesso ai servizi per la salute di prima necessità.

    Come Lei certamente saprà, sono centinaia le donne native e povere che ogni anno muoiono in Perù per cause collegate alla gravidanza, al parto o al post-parto e perché non riescono ad accedere ai servizi per la salute materna, che potrebbero invece salvare loro la vita.

    Le chiediamo di garantire l'accesso a servizi per la salute materna di qualità a tutte le donne, in particolare a quelle che vivono nelle comunità con un alto tasso di mortalità materna. Le attuali iniziative per la prevenzione e la riduzione della mortalità materna devono essere attentamente pianificate, destinando risorse adeguate e definendo chiaramente le responsabilità.

    La sollecitiamo, inoltre, a impegnarsi nell'eliminazione delle barriere economiche, fisiche e culturali che impediscono alle donne povere delle zone rurali e a quelle native di accedere ai servizi essenziali per la salute materna, tra cui i servizi ostetrici d'urgenza.

    La ringraziamo per l'attenzione.

    Uganda: difensore dei diritti umani arrestato!


    Al-Amin Kimathi © Third Party
    Al-Amin Kimathi © Third Party
    Al-Amin Kimathi, difensore dei diritti umani del Kenya che collabora con il Forum musulmano dei diritti umani, è stato arrestato in Uganda, il 15 settembre 2010. 

    Era entrato nel paese regolarmente, accompagnato dall'avvocato Mbugua Mureithi, per aiutare sei keniani accusati di terrorismo. Dopo sei giorni di detenzione in isolamento, è stato accusato a sua volta di terrorismo. Al-Amin dovrebbe essere processato nel 2011, ma il suo diritto a un processo equo non è stato garantito poiché non ha ancora avuto informazioni sulle prove contro di lui e per cui alcuna possibilità di preparare la propria difesa.
    Il Forum musulmano per i diritti umani è una organizzazione non governativa riconosciuta in Kenya.
    Chiedi al ministro degli Affari interni Hon Ali Kirunda Kivejinja di rispettare il suo diritto a un giusto processo.

    Operazione trasparenza - Diritti umani e polizia in Italia:Firma l'appello di Amnesty International

    giovedì 21 luglio 2011

    Nel decimo anniversario del G8 2001, che ebbe luogo a Genova dal 19 al 21 luglio, Amnesty International constata con disappunto che le centinaia di vittime delle gravi violazioni dei diritti umani compiute in quei giorni da funzionari e agenti delle forze di polizia non hanno ottenuto piena giustizia, anche a causa della mancanza del reato di tortura nel codice penale e di misure di identificazione degli agenti durante le operazioni di ordine pubblico, come l'uso di codici alfanumerici sulle uniformi. 
    Diversi casi emersi nei 10 anni trascorsi da quegli eventi hanno continuato a chiamare in causa le responsabilità delle forze di polizia, confermando l’urgenza di misure legislative e istituzionali per la prevenzione delle violazioni. La condanna in appello per omicidio colposo degli agenti ritenuti responsabili della morte di Federico Aldrovandi durante un fermo nel 2005; la sentenza per omicidio volontario dell’agente di polizia stradale che nel 2007 esplose il colpo di pistola che uccise Gabriele Sandri; i procedimenti in corso per la morte di Aldo Bianzino, Giuseppe Uva e Stefano Cucchi mentre si trovavano in stato di custodia; le accuse di lesioni, aggressione, sequestro di persona e calunnia agli agenti della polizia municipale che tennero in stato di fermo Emmanuel Bonsu; sono fatti che dovrebbero interrogare profondamente le istituzioni italiane e che confermano l’urgenza di misure legislative e istituzionali per la prevenzione degli abusi.

    Le forze di polizia sono attori chiave nella protezione dei diritti umani in ogni paese: hanno, tra le proprie responsabilità, quelle di ricevere denunce su abusi dei diritti umani, svolgere le indagini e garantire il corretto svolgimento delle manifestazioni, proteggendo chi vi partecipa da minacce e violenze. Perché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, sono essenziali il rispetto dei diritti umani, la prevenzione degli abusi, il riconoscimento delle responsabilità e una complessiva trasparenza.

    Amnesty International chiede agli stati di assicurare che le forze di polizia operino nel rispetto degli standard internazionali sull’uso della forza e delle armi, diprevenire violazioni dei diritti umani e di assicurare indagini rapide e approfondite e procedimenti equi per l’accertamento delle responsabilità, quando emergano denunce di violazioni.

    In Italia mancano tuttora importanti strumenti per la prevenzione e la punizione degli abusi, quali organismi di monitoraggio sul rispetto dei diritti umani e sui luoghi di detenzione, misure di identificazione degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico e la previsione del reato di tortura nel codice penale.



    Iran: Arash Alaei deve essere liberato!Firma l'appello su amnesty international


    Kamiar Alaei e suo fratello, il dottor Arash Alaei, esperti nella prevenzione e nel trattamento del virus dell’Hiv/Aids, sono stati condannati nel gennaio 2009 rispettivamente a tre e sei anni di carcere per “collaborazione con un governo nemico”. Prima della condanna avevano trascorso sei mesi in custodia cautelare, senza accesso a un avvocato e avevano subito un processo iniquo, durante il quale sono state prodotte prove segrete, che non hanno potuto vedere né contestare.  Si crede che siano stati arrestati per i loro legami con studiosi e organizzazioni della società civile stranieri, alcune delle quali statunitensi. Entrambi sono specialisti molto rispettati nel campo della lotta all’Hiv/Aids e nessuno dei due è mai stato politicamente attivo.
    Secondo l'accusa, la partecipazione dei due fratelli a una conferenza internazionale sull’Aids rientrava nel loro piano per provocare una cosiddetta "rivoluzione di velluto" in Iran. L’episodio a cui si riferiva l’accusa era relativo a una conferenza di tre giorni, finanziata dal Dipartimento di Stato americano e organizzata dalla Aspen Institute, a Washington (DC), un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro dedicata a “promuovere una guida illuminata, l'apprezzamento di idee e di valori senza tempo e aperta al dialogo sulle questioni contemporanee", a cui avevano partecipato una decina di persone, compresi i fratelli Alaei,

    Gli appelli presentati dai due uomini contro le loro condanne, sono stati respinti ad aprile e maggio 2009. Nel gennaio 2010, il loro avvocato ha dichiarato di aver presentato una nuova richiesta di riesame giudiziario, sulla base del fatto che gli Stati Uniti non sono stato un "governo nemico", ma anche questo è stato respinto.

    Nel maggio 2009, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha concluso che la detenzione di Arash e Kamiar Alaei è “arbitraria, perché viola gli articoli 9, 10, 25 e 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani e degli articoli 9, 14, 18, 19 e 22 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui la Repubblica islamica dell'Iran è uno stato parte.” Il Gruppo ha inoltre concluso che “la detenzione dei suddetti medici è anche contraria agli articoli 12 e 13 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e ai Principi 11-1, 17-2 e 18-1 del Corpo di principi per la protezione di tutte le persone sottoposte a qualsiasi forma di detenzione o prigionia" e ha invitato le autorità iraniane ad adottare immediatamente le misure necessarie per porre rimedio alla situazione.

    Da giugno 2011 Kamiar Alaei è in libertà, dopo aver finito di scontare la pena; il dottor Arash Alaei rimane, invece, in carcere a Teheran e Amnesty International, insieme a molte organizzazioni sanitarie e dei diritti umani, chiede con forza che sia rilasciato immediatamente e senza condizioni e che gli sia permesso di tornare al suo importante lavoro.

    A 10 anni dal G8 di Genova,ricordiamo quei giorni attraverso le testimonianze video.Per non dimenticare mai.



    Il 17 luglio 2001, due giorni prima che oltre 200.000 persone si ritrovassero a Genova per protestare contro il vertice del G8, Amnesty International chiedeva alle autorità italiane di proteggere i manifestanti, garantendo un uso legittimo della forza da parte di agenti della polizia.


    Tra il 19 e il 22 luglio, Genova divenne teatro di aggressioni indiscriminate da parte di agenti di polizia verso manifestanti pacifici e giornalisti durante i cortei, violenze ingiustificate nel raid alla scuola Diaz, arresti arbitrari e maltrattamenti nel carcere provvisorio di Bolzaneto, tra cui minacce di stupro e di morte, schiaffi, calci, pugni, privazione del cibo, dell'acqua, del sonno e posizioni forzate per tempi prolungati.
    La responsabilità delle forze di polizia è emersa in vari processi, ma le vittime degli abusi commessi a Genova non hanno ottenuto una piena giustizia. I processi sulla Diaz e Bolzaneto hanno riconosciuto in appello diversi funzionari dello stato (medici, carabinieri, agenti di polizia di stato e penitenziaria) responsabili di violenze, calunnie e falsi ma questi non hanno ricevuto punizioni adeguate, perché nel codice penale italiano manca il reato di tortura e per la prescrizione di reati minori. Molti pubblici ufficiali coinvolti nelle violenze non hanno potuto essere identificati perché avevano il volto coperto e sulle loro divise non erano presenti nomi o numeri identificativi.
    In questi 10 anni, inoltre, altri episodi hanno chiamato in causa le responsabilità dei corpi di polizia per l'uso delle armi e della forza, dalla morte di Federico Aldrovandi durante un fermo (2005) a quella di Gabriele Sandri, raggiunto da un colpo di pistola sparato da un agente di polizia stradale (2007), alla morte in custodia di Aldo Bianzino (2007), Giuseppe Uva (2008) e Stefano Cucchi (2009), assieme all'aggressione e agli insulti razzisti denunciati da Emmanuel Bonsu, fermato da agenti della polizia municipale (2008).
    Amnesty International chiede all'Italia di cogliere questo anniversario come un'occasione per impegnarsi seriamente a combattere l'impunità e a fare in modo che l'operato delle forze di polizia sia trasparente.
    Le forze di polizia sono attori chiave nella protezione dei diritti umani. Perché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, sono essenziali il rispetto dei diritti umani, la prevenzione degli abusi, il riconoscimento delle responsabilità e una complessiva trasparenza.
    L'Italia deve, pertanto, introdurre il reato di tortura nel codice penale, prevedere misure che permettano di identificare gli agenti durante le operazioni di ordine pubblico e istituire un meccanismo di monitoraggio sui diritti umani. 



    I VIDEO DEL RICORDO:AMNESTY PUBBLICA ALCUNI VIDEO CHE RIEPILOGANO I FATTI DEL G8

    Il filmato ricostruisce la violenta carica della PS contro i partecipanti alla piazza tematica della Rete Lilliput e l'arresto di due manifestanti spagnoli, poi archiviati.





    Il filmato (in presa diretta, 40 minuti circa) è parte della consulenza tecnica prodotta al processo Diaz, che ricostruisce le fasi della "perquisizinoe" operata dalla polizia al complesso scolastico Diaz.
    Nel dvd sono contenute le comunicazioni radio della Centrale Operativa PS, del 118, radio Popolare, radio Gap, ed le foto di maggiore interesse processuale (armi?, feriti, sangue).
    INFO www.processig8.org










    Il filmato (in presa diretta, 40 minuti circa) è parte della consulenza tecnica prodotta al processo 25, che ricostruisce le fasi della carica operata dai caribinieri sul corteo delle tute bianche.
    Nel dvd sono contenute le comunicazioni radio della Centrale Operativa PS ed le foto di maggiore interesse processuale (manganelli fuori ordinanza, lacrimogeni, feriti/arrestati).
    INFO www.processig8.org




    FONTE

    Kenya: accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari negli slum di Nairobi

    venerdì 8 luglio 2011

    Due milioni di persone, circa la metà della popolazione di Nairobi, vive stipata sull'uno per cento del territorio cittadino, senza avere servizi pubblici essenziali.

    Gli insediamenti abitativi precari di Nairobi, come qualunque altro insediamento umano, sono luoghi dove le persone vivono, lavorano, mangiano, dormono e crescono i loro figli. Le persone che vi abitano soffrono della carenza di servizi, non possono vantare alcun diritto sulle case in cui abitano e convivono con la paura di essere sgomberate in qualsiasi momento. Non avendo le politiche governative previsto abitazioni a basso costo o alternative a lungo termine, che vive nelle baracche ha come unica possibilità abitativa accessibile gli insediamenti abitativi precari.

    slum di Kibera ©Matteo Bordin
    slum di Kibera ©Matteo Bordin
    Solo il 24 per cento degli abitanti degli insediamenti di Nairobi ha accesso all'acqua portata da condutture; chi è costretto ad acquistarla da venditori privati deve pagare un costo, in media, sette volte superiore rispetto a quello pagato dalle persone benestanti, che usufruiscono dei servizi della Compagnia pubblica.

    La scarsa qualità d'acqua, il consumo di acqua non pulita e le cattive condizioni delle tubature comportano un'alta incidenza di malattie quali colera, dissenteria e altre malattie collegate all'acqua, soprattutto per i bambini.

    Nonostante la Legge sanitaria del Kenia (Kenyan Public Health Act) garantisca standard dettagliati sull'abitazione e sui servizi igienici, questa non è mai stata applicata negli insedimaneti di Nairobi, che non sono stati inclusi nella pianificazione urbana. Inoltre, i proprietari delle case qui presenti non vengono perseguiti dalle autorità locali quando realizzano condomini a uso residenziale e commerciale senza le necessarie fognature.
    "I nostri bambini devono attraversare le acque di scolo e generalmente quando le condutture d'acqua - sotto o sopra la terra - esplodono, allora le acque di scolo vanno nell'acqua, che viene contaminata". Un residente a Mukuru Kwa Njeng

    slum di Kibera ©Matteo Bordin
    slum di Kibera ©Matteo Bordin
    Canali interrati realizzati a mano raccolgono le acque di scolo all'aperto e queste spesso entrano in contatto con le condutture dell'acqua o passano a ridosso delle abitazioni. La maggior parte dei residenti negli insediamenti usa come latrine delle buche sul terreno, ognuna delle quali viene utilizzata dalle 50 alle 150 persone.
    Possono volerci anche 10 minuti per raggiungere i servizi igienici dalle abitazioni, un tragitto che si rivela molto pericoloso soprattutto per le donne. Molte, infatti, hanno subito stupri e altre forme di violenza mentre tentavano di recarsi a servizi igienici o latrine distanti da casa. Soprattutto col buio, la mancanza di servizi igienici e bagni vicino alle abitazioni pone le donne ad alto rischio di violenza, anche di stupro. Per alcune, le latrine sono il solo luogo dove lavarsi in privato, mentre altre possono utilizzare un piccolo bagno adiacente alle latrine. Queste sono condivise da decine di famiglie e sono spesso prive di igiene. L'inaccessibilità di questi servizi compromette gravemente il diritto alla privacy delle donne. Le scarse condizioni igieniche inoltre causano problemi di salute, provocando un aumento delle spese sanitarie per le famiglie.


    I diritti umani negli slum in Kenya

    Due milioni di persone, circa la metà della popolazione di Nairobi, vive stipata sull'uno per cento del territorio cittadino, senza accesso ai servizi pubblici essenziali. Gli alloggi, i servizi igienici e fognari sono inadeguati; la scarsa fornitura e qualità d'acqua, il consumo di acqua non pulita e le cattive condizioni delle tubature comportano un'alta incidenza di malattie quali colera, dissenteria e altre malattie collegate all'acqua, soprattutto per i bambini. Il sovraffollamento causa alti livelli di violenza.

    Nell'ambito della campagna "Io pretendo dignità" e delle attività per celebrare il suo 50° anniversario Amnesty International organizza l'incontro pubblico "INSIDE KIBERA - I diritti umani negli slum in Kenya".


    Mercoledì 13 luglio, presso Fandango Incontro, via dei Prefetti, 22 dalle 18.30 si parlerà di diritti umani negli slum in Kenya con Cesare Ottolini(International Alliance of Inhabitants), Francesco Careri (Stalker-Osservatorio Nomade), Alessandra Meloni (Amnesty International Italia), il fotografo Fulvio Bugani e Moses Opiyo coordinatore del Progetto Giovani di Amnesty International Kenya che racconterà delle difficili condizioni di vita all'interno degli slum.

    Durante l'incontro sarà esposta parte della mostra fotografica "Inside Kibera" di Fulvio Bugani.

    Sempre il 13 luglio, alle ore 15.00, su www.amnesty.it e sulla pagina Facebook di Amnesty International si terrà una video chat con Moses Opiyo. Sarà possibile fare domande in diretta o mandarle già da ora all'indirizzo: videochat@amnesty.it
    La visita di Moses Opiyo si inserisce nel quadro delle attività del progetto "Education for Human Dignity", co-finanziato dalla Commissione Europea, che coinvolge, oltre ad alcune Sezioni del sud del mondo, il Segretariato Internazionale in partenariato con la Sezione Italiana, Amnesty Slovenia e Amnesty Polonia. Il progetto intende coinvolgere giovani, educatori e insegnanti, attraverso la realizzazione di strumenti e risorse educative per favorire azioni in grado di contrastare gli abusi dei diritti umani che sono alla base della povertà.  Moses Opiyo terrà una docenza presso il Campus degli Studi e dell' Università di Pomezia (RM), dove dall'11 al 17 luglio si svolgerà la IV edizione dell'International Summer School.
    Per ulteriori informazioni

    Amnesty International - Sezione Italiana
    Laura Renzi: + 39 06 4490238

     
    Free Italy © 2011 | Designed by RumahDijual, in collaboration with Online Casino, Uncharted 3 and MW3 Forum